Sommario:
1) Paolo Borsellino, un eroe italiano
2) Intervista* a Valentina Petaros Jeromela*”
3) 25 Settembre: l’Italia al voto (Ma noi all’estero dobbiamo votare prima. E per votare, assicuriamoci che il nostro Consolato abbia il nostro indirizzo esatto ed aggiornato).
4) Da Roma…con orrore di Simone Sperduto
1) Paolo Borsellino, un eroe italiano.
Lo scorso 19 Luglio e’ stato celebrato il trentesimo anniversario della strage di via d’Amelio a Palermo nella quale morirono il Giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta. Questo articolo di Sandro Recupero, pubblicato per la prima volta sul Primato Nazionale il 19 Luglio del 2015, ci delinea chi era Paolo Borsellino e quale messaggio ci ha lasciato.
Palermo, 19 lug – Una grande cappa di caldo avvolgeva la Sicilia nel luglio del 1992. Tutti andavano al mare per cercare un po’ di fresco. Qualcuno però andava controcorrente. Il 19 luglio un giudice con la sua scorta, si recò insieme alla sua scorta a Palermo in via D’Amelio, dove viveva sua madre. Ma ad aspettarlo c’era una Fiat 126 imbottita di tritolo. La bomba deflagrò al passaggio del giudice, uccidendo oltre il magistrato e anche i cinque agenti di scorta. Il protagonista di questa storia fu Paolo Borsellino, icona dell’antimafia. Oggi ventitré anni dopo si celebra la giornata del ricordo.
Il capo dello Stato, ministri ed autorità saranno in prima fila per deporre le ghirlande sul luogo della strage. La parola d’ordine sarà: “Per non dimenticare”. Molto bene se questo è l’intento di chi rende omaggio al giudice palermitano è opportuno ricostruire la sua breve ma intensa esistenza.
Paolo Emanuele Borsellino nasce a Palermo figlio di Diego Borsellino e di Maria Pia Lepanto il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa (lo stesso quartiere di Giovanni Falcone). I primi anni della sua vita furono essenziali per la sua formazione culturale ed umana. La madre insegnò lui la fierezza e l’amor patrio. Senza retorica, ma con piglio teutonico, vietò ai figli di accettare doni dagli americani. Il futuro giudice cominciò così a capire che i mafiosi erano tali anche se offrivano a piene mani caramelle o barrette di cioccolata. Dopo aver frequentato il Liceo Classico Borsellino s’inscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo. Nello stesso anno decise di far parte del Fuan (Fronte Universitario d’Azione Nazionale) organizzazione degli universitari missini. Divenne membro dell’esecutivo provinciale e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del Fuan il “Fanalino”. Finì erroneamente in tribunale dinanzi al magistrato Cesare Terranova dopo una rissa tra studenti simpatizzanti di destra e sinistra. La politica l’idea e i rossi che non fan paura…
Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa” con relatore il professor Giovanni Musotto. Ma non ebbe neanche il tempo di festeggiare. Pochi giorni dopo, morì suo padre all’età di cinquantadue anni. Borsellino s’impegnò, allora, con l’ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in Farmacia della sorella Rita.
Quel giovane palermitano mostrava sempre più di essere Vir, ossia uomo capace di prender su di sé il peso delle proprie responsabilità. Un anno dopo vinse il concorso pubblico per entrare nella magistratura divenendo il più giovane magistrato d’Italia. Enna, Mazzara del Vallo, Monreale, furono i tribunali in cui mosse i primi passi. Il primo stipendio da magistrato di Paolo servì a pagare la tassa governativa per la laurea in Farmacia della sorella Lucia. Il 23 dicembre1968 sposò Agnese Piraino Leto, dalla quale ebbe tre figli: Lucia, Manfredi, Fiammetta. Mentre il mondo virava verso il sovvertimento, lui andava contromano. Egli era il contraltare dell’ideologia degli Hippie, ossia l’odio verso il padre, lo Stato, l’auctoritas. Attenzione, però, non bisogna pensare che egli abbia in qualche modo avallato il familismo amorale siculo. Egli, al contrario, dimostrava che la famiglia non è una buona scusa per astenersi dalla lotta. Sin dal primo giorno in tribunale il suo nemico era la mafia. Scelta folle per i più. Ma, Borsellino amava vivere pericolosamente. Bastano, infatti, le sue parole raccontare il suo impegno contro Cosa Nostra.
Al Csm il giudice palermitano racconterà: “Dal gennaio al novembre del 1985 non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno dal mio bunker senza finestre. O meglio: ne uscii perché dopo l’omicidio del commissario Cassarà io e Falcone fummo chiamati dal questore che ci disse che lo stesso giorno dovevamo esseri segregati in un’isola deserta con le nostre famiglie: perché se questa ordinanza non la facevamo noi, se ci avessero ammazzati, non la faceva nessuno perché nessuno era in grado di metterci mano. Siccome io protestai, dicendo che questa decisione non doveva essere attuata immediatamente, perché Falcone è senza figli, ma io avevo famiglia e dovevo regolarmi le mie faccende, mi fu risposto in malo modo che i miei doveri erano verso lo Stato e non verso la mia famiglia. Sta di fatto che riuscii a ottenere 24 ore di proroga, ma dopo 24 ore scaricarono me, Falcone e le rispettive famiglie in quest’isola. Tra parentesi, io non amo dirlo, ma lo devo dire: tutta questa vicenda ha provocato una grave malattia a mia figlia, l’anoressia psicogena, e mi scese sotto i 30 chili. Siamo stati buttati all’Asinara a lavorare per un mese e alla fine ci hanno presentato il conto, ho ancora la ricevuta”. Ecco come lo stato trattava i suoi uomini. I giudici erano costretti a vivere peggio dei latitanti. Nel 1985, infatti, in una delle migliori cliniche di Palermo nasceva la figlia di Salvatore Riina.
Aveva uno strano rapporto con la politica. Nonostante fosse un fustigatore della classe dirigente era sempre disposto a confrontarsi con tutti.
Giuseppe Ayala nel suo libro “La guerra dei giusti” ci racconta qualche simpatico aneddoto: “Quando lasciai il palazzo di Giustizia perché ero candidato al Parlamento, il dialogo con Borsellino fu surreale: «Non ti posso votare»; «Perché?»; «Sono monarchico, la Repubblica non fa per me. Tu sei repubblicano e io non ti voto». Ayala parla dell’amico e collega Paolo come del camerata Borsellino: “Lui ci rideva su, io entravo sguainando il braccio destro e lui rispondeva allo stesso modo”. Amico vero di Borsellino del resto era Giuseppe Tricoli, il professore di Storia con cui Borsellino passò l’ultimo giorno della sua vita.
Partecipava ai dibattiti de La Rete di Leoluca Orlando ma non dimenticava il suo passato. Anche in questo era un po’ un don Chisciotte. Il coraggio non gli mancava. Alla Festa nazionale del Fronte della Gioventù di Siracusa nel 1990 disse: “Potrei anche morire da un momento all’altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono”.
Detto ciò speriamo che nessuno descriva Borsellino come una vittima. Egli ha scelto la sua strada e merita di essere ricordato come un caduto. La bomba a via d’Amelio non fu un incidente ma solo l’atto conclusivo di un percorso. Le parole di Borsellino rilasciate al giornalista Carlo Sposini pochi giorni prima di essere ucciso non lasciano spazio a dubbi: “ Io accetto più che il rischio le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. Accetto la sensazione di essere un sopravvissuto. E’ una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare… dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro”.
Lasciamo, dunque, l’onore delle armi a quest’uomo. Vir, retto e giusto, perché sempre fu dalla parte sbagliata.
Salvatore Recupero Il Primato Nazionale 19 Luglio 2022
2) Intervista a Valentina Petaros Jeromela (*) (**)
E domani nella battaglia pensa a me
Con l’animo che vince ogni battaglia,
se col suo grave corpo non s’accascia.
Inferno XXIV, vv. 53-54
D. Perché ha scelto queste parole?
Per noi italiani viventi all’estero rappresentano la forza e l’animo che ci permette di scegliere ogni giorno di essere italiani. In un contesto come il nostro, il territorio passato ad altra sovranità ma che conserva edifici, storia, monumenti, patrimonio culturale in genere è nostro dovere non far dimenticarne l’origine. Molto spesso, infatti, si tende a inglobare – forse a causa anche della globalizzazione – il preesistente con un presente che nulla ha a che fare con la nostra storia. Dobbiamo preservare il nostro dialetto, dobbiamo divulgare la nostra storia poiché moltissime persone continuano a trasferirsi sul Litorale sloveno ignorando il perché degli edifici dall’aspetto veneziano. La nostra presenza è assolutamente necessaria ma va anche, spesso, a collidere con un pensiero politico distruttivo, instillato dagli anni quaranta in poi da un dittatore che pur di non dover dividere il territorio con ciò che dell’Italia è rimasto, ha optato per una pulizia etnica. Noi rappresentiamo ciò che di quella follia è rimasto, spesso siamo difatti definiti “rimasti”, ma sostanzialmente siamo italiani in un territorio che non è più italiano. Dante per noi rap- presenta non soltanto l’idea di Italia, non soltanto l’esule, ma l’esilio perenne.
D. Che cosa, secondo lei, ha voluto insegnarci o trasmettere ai nostri pensieri, qui, Dante?
R. La forza di credere in un ideale in un mondo che non è più quello in cui quest’ideale si formò. Già per Dante senza le sue due guide, l’esistenza era difficile: Firenze non lo voleva, con spirito avventuristico arrivò sino in Istria, quasi oltrepassando i termini d’Italia. E qui vide come si vive da esuli, come si vive lontano dalla patria, dove per essere considerato italiano devi parlare in una lingua che non ti fa “crudelmente ruttare”. Per non cambiare, le radici devono essere forti, le tradizioni vigorosamente legate alla vita quotidiana. Per non vedere un campo pieno di tombe, bisogna far sopravvivere l’ideale di italianità.
D. Quanto ha inciso questo passaggio nella sua vita e perché?
R. Per me è diventato quasi un mantra, in una lotta impari. Su due milioni di abitanti, la comunità nazionale italiana si è ridotta sempre di più negli anni (arrivando allo 0,1%), tanto da rappresentare quasi un ricordo sbiadito. La nostra storia e la nostra cultura non vengono insegnate secondo uno standard italiano, ma sloveno, riducendo sempre più la verosimiglianza tra passato scritto dai grandi studiosi (quello da noi riconosciuto) e diventando un semplice capoverso ridotto a un breve riassunto di poche righe.
D. Come attualizzerebbe il personaggio e il testo che ha scelto nel nostro periodo storico?
R. In nessun modo, è perfetto così.
D. Qual è il rapporto di Dante nella Divina Commedia con l’elemento femminile? C’è un nesso tra loro pur nella diversità?
R. Dante è sicuramente affascinato dall’elemento femminile. Forse anche un po’ intimorito poiché nella dolcezza dei modi si nasconde la fermezza dell’essere. Non comprendendo questa profonda dicotomia, la eleva.
D. Quale personaggio femminile della Commedia ama di più, quale le corrisponde o vorrebbe essere?
Forse, banalmente, Francesca da Rimini. Tutte noi ci siamo innamorate di un’immagine, di una falsa rappresentazione di una persona, ci siamo illuse… abbiamo sperato di poter cambiare o co nvivere con un individuo diverso dalle aspettative. Ma così non è e il vortice della passione, prima o poi, ci travolge tutte. La vita è più forte di qualsiasi imposizione.
D. Chi è Beatrice e quale consiglio darebbe alla donna moderna, secondo lei?
R. Se consideriamo Beatrice come una guida spirituale e non un amore perduto, possiamo intenderla come la madre che continua a mostrarci la via giusta. Anche se sbagliamo, anche se ci allontaniamo dalla famiglia, la genitrice è sempre pronta ad accoglierci e a rassicurarci. Non manca di rimproverarci, sperando che abbiamo imparato dai nostri errori.
D. Come vede la donna del futuro, quali saranno e come cambieranno il suo ruolo e la sua funzione nella famiglia e nella società?
R. Il nostro ruolo è incastrato nei meccanismi della società, non siamo libere di vivere la maternità, la professionalità e l’essere realizzate nello stesso momento della nostra vita. O siamo madri e non lavoriamo, o lavoriamo e ci creiamo una posizione, ci realizziamo come professioniste, ma forse perdendo la possibilità di essere madri. Quando la società ci permetterà di essere tutte queste tre cose insieme, sarà una società evoluta.
(*) L’Intervista e’ stata realizzata da Giovanna Poli e pubblicata nel volume “Dante secondo Lei”, edito dalla Societa’ Dante Alighieri di Roma (il libro e’ liberamente disponibile su questo sito web: https://cr.dante./file-manager/bXVsdGltZWRpYS9jU21vSWZTcAcA==/la_rome_art_week_a_palazzo_firenze.pdf
(**) Valentina Petaros Jeromela, presidente della Societa’ Dante Alighieri di Capodistria e’ un’attenta studiosa, ricercatrice e divulgatrice delle vicende storiche e culturali dell’Istria, nonche’ autrice di numerose pubblicazioni.
3) 25 Settembre: l’Italia al voto(Ma noi all’estero votiamo prima. E per votare, assicuriamoci che il nostro Consolato abbia il nostro indirizzo esatto ed aggiornato).
Inopinatamente, inaspettatamente, incomprensibilmente, quando tutti pensavano che il Governo Draghi, sostenuto da uno schieramento tanto ampio, quanto eterogeneo, avrebbe continuato la sua attivita’ fino al termine naturale della legislatura nel marzo del 2023 il prersidente del Consiglio, pur non avendo formalmente ricevuto un voto di sfiducia, ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato; quest’ultimo non ha potuto fare altro che prendere atto dello sfaldamento della maggioranza governativa e sciogliere le Camere. Conseguentemente il Governo Draghi rimane in carica per gestire l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento del nuovo Govern, gli Italiani voteranno il 25 Settembre per eleggere il nuovo Parlamento, che vedra’ per la prima volta una riduzione dei suoi componenti: eleggeremo 400 Deputati (e non piu’ 630) e 200 Senatori (e non piu’ 315). Gli eletti nella Circoscrizione Estero saranno in tutto 12: 8 Deputati e 4 Senatori.
Non e’ compito della nostra Associazione indagare sulle cause dell caduta del Governo Draghi, ne’ esprimere giudizi in merito al comportamento delle varie forze politiche. Pero’ voglio rivolgere un invito a tutti i connazionali residenti all’estero affinche’ esaminino con attenzione e con freddezza quali sono le prospettive che si aprono per noi , italiani all’estero con le imminenti elezioni. Ho gia’ accennato alla riduzione del numero dei parlamentari che ci rappresenteranno nel prossimo Parlamento: riduzione che e’ risultata superiore nel rapporto tra numero di eletti e numero di abitanti a quella operata per le circoscrizioni in cui e’ diviso il territorio nazionale, risultato ancora piu’ ingiusto se si considera l’aumento del numero degli italiani residenti all’estero verificatosi negli ultimi anni. A chi, oggi, si lamenta di cio’ occorre pero’ ricordare che c’e’ stato un referendum popolare che ha approvato questa riforma costituzionale e che proprio nella circoscrizione Estero la percentuale dei voti favorevoli alla riduzione risulto’ superiore a quella registrata tra i connazionali residenti in Italia.
La seconda considerazione , piu’ importante, anzi fondamentale, e’ invece la seguente: proprio per la riduzione del numero dei nostri rappresentanti nel nuovo Parlamento dobbiamo dare a coloro che risulteranno eletti (a qualunque partito appartengano) una maggiore forza e affinche’ cio’ accada e’ necessario che tutti noi si partecipi al voto; maggiore sara’ il numero di noi italiani all’estero che parteciperemo alle elezioni, maggiore sara’ la forza che i nostri rappresentanti nel Parlamento Italiano potranno far valere. Siamo quasi 6.500.000 noi Italiani iscritti all’AIRE e oltre 4.000.000 gli aventi diritto al voto. Se votassimo tutti, i nostri rappresentanti potranno affermare di rappresentare veramente tutta la Comunita’ degli Italiani all’estero, se, al contrario, la percentuale dei votanti, sara’ come al solito bassa, sara’ facile, qualunque sara’ il governo che uscira’ dalle prossime elezioni rispondere alle loro sollecitazioni, alle loro richieste: “ma se non rappresentate nemmeno un quinto degli italiani all’estero, cosa andate cercando?” Se non siamo soddisfatti dei partiti o delle persone che abbiamo votato nel 2018, cambiamo partito o candidato. Se invece riteniamo di essere soddisfatti del loro operato, rivotiamoli e comvinciamo altri amici e conoscenti a votarli!
Molti mi hanno gia’ detto: “A cosa serve votare? tanto poi a Roma fanno quello che vogliono”. Non condivido questa opinione, perche’ quelli che a Roma “fanno quello che vogliono”, li abbiamo votati noi, quindi se non ci piace quello che hanno fatto, votiamo per altre persone o per altri partiti. Votare e’ un diritto, non votare significa rinunciare a questo nostro diritto. La nostra Costituzione dice che la sovranita’ appartiene al popolo e il popolo la esercita appunto con il voto: se non votiamo rinunciamo alla nostra sovranita’ e per noi decideranno quelli che sono andati a votare.
Pertanto l’invito che rivolgo a tutti gli amici dell’Associazione e di questo notiziario e, attraverso voi, a tutti gli Italiani all’estero e’ quello di partecipare al voto: Votate per chi volete, ma votate, al limite, lasciate la scheda in bianco o annullatela gridando il vostro disprezzo se siete rimasti delusi da tutti i partiti, ma partecipate. Non rinunciamo ad esercitare un nostro diritto e ricordiamoci che “Democrazia e’ partecipazione!”
Aldo Rovito
4) Da Roma…con orrore di Simone Sperduto
Dall’amico Simone Sperduto, giornalista che vive, dividendosi tra Madrid e Roma, riceviamo questa testimonianza:
Cartoline da Roma…per un turismo di (non) ritorno
E’ difficile riguardare certe immagini, dopo averle fotografate in giro per la città, sapendo di avere davanti la Capitale d’Italia, e restare con il volto candidamente melenso di chi pensa che bastino ancora i gladiatori e il Colosseo, la monetina di Fontana di Trevi, il tramonto romantico al Gianicolo o la vista del Cupolone per essere competitivi con il resto d’Europa. E’ ancora più difficile pensare che certe immagini indignino me, romano di nascita, più di quanto non possano indignare un turista straniero. Quindi provate a mettervi nei panni di un turista straniero, pieno di aspettative, che vede spazzatura per le strade, stazioni della metropolitana fatiscenti con l’acqua che ti cade in testa mentre aspetti il treno, rifiuti persino davanti al muro perimetrale di un museo del centro storico, mezzi pubblici vetusti e magari pure una siringa a una fermata del tram: voi al suo posto che reazione avreste? Ve lo dico io, sareste incazzati neri e vi fareste girare i coglioni: esistono le parole, usiamole senza ipocrisia. E lo stesso dicasi per un romano di nascita, che vive ormai all’estero, che rientra per la vacanza estiva a Roma e che ha dovuto vedere tutte le delizie fin qui elencate. Praticamente un teatro degli orrori a cielo aperto. Sappiate che una capitale è il biglietto da visita di un paese, è come ti presenti al resto del mondo; di conseguenza, è come il resto del mondo ti vede e ti giudica. Davanti a certe immagini, ti si rivolta lo stomaco e ti sale la bile fino ai capelli. Specialmente quando sei abituato a fare quotidianamente confronti, perché ormai vivi in una grande capitale europea, ovviamente fuori dall’Italia. Chi evita confronti e fa finta di non vedere sta semplicemente scegliendo di stare dalla parte del problema, che diventa quindi anche morale. E infine un consiglio a chi fa politica in Italia, soprattutto a Roma: rimboccatevi seriamente le maniche e fatevi pure qualche viaggio nel resto d’Europa per apprendere – possibilmente anche parecchio – dagli altri. Se pensate davvero che una città così ridotta possa essere attrattiva o competitiva ad alti livelli…siete veramente anni luce lontani dal mondo reale.
Simone Sperduto giornalista
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